Intervista a Maria Pia Michelini

Concetta Padula intervista la nostra Maria Pia Michelini, autrice del romanzo Zena la nuda.

Maria Pia, secondo lei, quante donne oggi potrebbero identificarsi in Zena Nardi, una donna ingabbiata nel proprio personaggio, tra il ruolo di insegnante stacanovista e quello di amica sempre cordiale e disponibile?

Ancora molte, purtroppo. E di queste, tante nemmeno si accorgono di essere prigioniere in una gabbia. Pensano che sia “normale” doversi adattare, “consigliabile” tener la barca pari cedendo a compromessi che non fanno largo a domande sui propri sogni, sui propri talenti, sulla propria unicità.

È facile o difficile per un individuo del Ventunesimo secolo “ribellarsi” al proprio destino, liberarsi degli orpelli sociali e sentirsi vivo, “nudo”?

Credo che facile non sia per nessuno, forse meno difficile per le persone più giovani. Noi donne enta/anta, per quanto presenti e attive nell’oggi, spesso siamo ancora schiave di una mentalità ben radicata in sistemi passati. Uscirne è faticoso, ma ricordo a tutte che è possibile.

Zena Nardi (ri)cerca l’amore sia come donna timida e impacciata e sia come persona che prende in mano le redini della propria vita, ma l’amore sembra sempre sfuggirle di mano, perché? Perché il vero amore è irraggiungibile?

Il vero amore non è affatto irraggiungibile. È invece poco chiaro, alla maggior parte delle persone, che cosa sia veramente l’Amore. Credo che Zena la nuda lo abbia capito e possa amare con quel tipo di amore lì, che lascia libera la persona amata, libera di essere nuda come lei. E sa che non tutti amano nello stesso modo, l’amore non è misurabile, ognuno lo offre come può, con i propri limiti, con i modi che conosce, con le paure che mettono i bastoni tra le ruote…

Zena la nuda di Maria Pia Michelini

Zena, con la propria storia, sembra spianarci la strada verso un nuovo ideale, quello del non-rimpianto, quello di un essere ottimista. Secondo lei, si può ottenere sempre ciò che si desidera dalla vita avendo le idee chiare sugli obbiettivi da perseguire e lottando intensamente?

Se vogliamo raggiungere un obiettivo mettendocela tutta, forse ce la possiamo fare o forse no. Il bello è che nel percorso che facciamo per raggiungerlo, arrivano nuove luci, nuovi stimoli, nuove strade inattese, nuove occasioni, si può aggiustare il tiro, si può accogliere una spinta che fa andare al di là di quanto ci eravamo prefissi, si può imparare ad attendere, a fallire e a riprovare con un’altra strategia. Questo è il bello della faccenda. E muovendosi in questo percorso non ci si accorge spesso che nell’obiettivo scelto ci siamo già dentro con tutti e due i piedi.

Le persone che mettono a “nudo” il proprio “io” sono individui coraggiosi o incoscienti? Quale delle due categorie di individui corrisponde oggi ai dettami sociali?

Direi che mettere a nudo il proprio io è da coraggiosi. E leggeri (nel senso più alto del termine), semplici, ironici, spontanei. Ma è un cammino che va fatto accettando di essere soli. I dettami sociali invitano sempre più ad essere coraggiosi, credo. Ma non a essere consapevoli di sé come unici, quindi soli, non modellabili ad altri greggi. Altrimenti ci si accoda staccandosi da un vecchio sistema ma lasciandoci imprigionare in uno nuovo, che ti illude di essere diventato libero, ma che alla fine non serve a nulla. È solo un altro vestito che finirà per rivelarsi altrettanto stretto.

Ringraziamo Concetta e Maria Pia per questa delicata e profonda chiacchierata.

Intervista ad Aldo Boraschi

Concetta Padula intervista Aldo Boraschi, autore di La voce del geco.

I protagonisti della storia si distinguono sempre perché danno forti emozioni, sembra che acquistino vita  e carattere man mano che la penna del Boraschi fa prendere forma alla storia, la fa evolvere e poi concludere. I personaggi del romanzo instillano una grande impronta emotiva e formativa nel cuore dei lettori, lasciando spazio ad un messaggio interpretativo libero e, perché no, anche soggettivo.

Ne La voce del geco lei ha saputo coniugare l’amore per le scienze, l’antropologia e la letteratura, descrivendoci con disarmante semplicità e schiettezza una grande e profonda storia d’amore, quella tra Giusto e Raimonda. Secondo lei, il “salto” che compie Giusto è un balzo verso il vuoto o verso qualcosa di più grande? E se sì, verso cosa?

La meraviglia di un libro è quella che ognuno di noi lettori può immaginare un finale. Questa catarsi tra libro e lettore è più marcata in alcuni romanzi. Penso che La voce del geco sia uno di quelli. Posso dirle quello che penso io, del finale.

Parto da lontano, se ha pazienza di seguirmi.

Appena uscito il libro, una giornalista di un quotidiano genovese mi chiama e mi dice che ha trovato molte similitudini con il Barone Rampante di Italo Calvino. Per non confessare la mia ignoranza, le ho dato ragione. Non avevo ancora letto il libro di Calvino; l’avevo negli scaffali (mi sono accorto, poi, di averne due copie in due differenti edizioni) ma non avevo ancora trovato il tempo per leggerlo. L’ ho letto e ho trovato una differenza sostanziale. Per Cosimo (protagonista del Barone Rampante)  quella di salire sugli alberi  e non scenderne più è stata una scelta. Per il mio Giusto (mi scusi il pronome possessivo, ma tutti i personaggi che escono dalla mia penna fanno parte integrante di me) quel tetto era l’unica opzione a sua disposizione per vivere. Tutto questo per dirle che non riuscivo a vedere un futuro per Giusto al di sotto di quel tetto. Come non riuscivo ad immaginare Giusto invecchiare su quelle tegole. Lei mi chiede se cercava qualcosa di più grande? Beh, io penso di sì. Poi ognuno di noi darà un nome a quel “qualcosa di più grande”.

In genere, è sempre la donna nella vita e nei romanzi ad assumere il ruolo del personaggio “ideale”, sognatrice, un po’ romantica, l’uomo è più concreto, pratico, razionale, mentre nel suo romanzo si capovolgono le parti. Perché, se c’è un motivo, ha voluto modificare questi cliché letterari?

Lei pensa che il personaggio romantico sia Giusto? Io vedo Raimonda in quelle vesti, tanto che alla fine non si rassegna alla morte di Giusto e lo va cercando per tutti i tetti del mondo, lo accarezza nel vento, lo sente nella pioggia. Romanticismo allo stato puro.

Giusto è circondato da “strani personaggi”, soli ed emarginati. Gli “ultimi” nel suo romanzo affrontano in modo diverso la solitudine, come? Tra Giusto e Raimonda, chi tra i due è più solo, e perché?

Giusto ha creato un suo micro mondo su quel tetto. Potremmo dire che si tratta  di un’unione di solitudini che, alla fine, si è dimostrata  tanto perfetta quanto fragile. Uscito di scena Giusto, tutto è andato in mille pezzi.

Lungo tutto il prosieguo del racconto, il cielo e la terra si toccano, si fondono, si confondono oppure continuano ad alternarsi, a contrapporsi, ad evitarsi. Ci chiarisca meglio.

Quante volte abbiamo detto: vorrei essere su un’isola deserta  e non vedere nessuno? Tutti, almeno una volta nella vita, lo hanno pensato. Nella Voce de geco  non c’è né cielo né terra. C’è un concetto di non contaminazione con il mondo, di non appartenenza. È quello stare “sopra” che affascina in questo libro. È quella distanza minima con il cielo, con Dio, che accomuna il lettore con le pagine.

Senza svelare il finale, qual è il vero messaggio che ha voluto lanciare in modo diretto al suo pubblico di lettori? E quello indiretto?

La voce del geco è un libro aperto. Il messaggio, la chiave di lettura, è da ricercarsi in ognuno di noi.

Grazie a Concetta Padula per questa intervista e ad Aldo per le sue risposte attente.

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